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Bambini ed emofilia: com’è oggi la vita di un bambino emofilico?

La diagnosi di emofilia può spaventare i genitori: ci può essere una fase di sconforto, di negazione, rabbia e frustrazione, ma rispetto al passato passi avanti enormi sono stati fatti e oggi la vita di un bambino emofilico può essere davvero molto serena.

L’emofilia è una malattia genetica ereditaria: le coppie che pensano di poter trasmettere la malattia ai propri figli per motivi genetici possono effettuare esami specifici, così da essere preparati. La diagnosi può, quindi, avvenire sia in fase prenatale, quando la mamma è in gravidanza, sia alla nascita, e non è mai facile da accettare. Comprensibilmente può spaventare e poi può seguire anche una fase di negazione della malattia da parte dei genitori, del tutto normale e superabile con l’aiuto degli specialisti che si occupano del nostro caso.

I neonati con emofilia, infatti, sono seguiti da un team di professionisti sanitari fin da subito: ostetrici, consulenti genetici, neonatologi, pediatri, radiologi, ematologi e infermieri specializzati. La complessità del team di medici che ruota intorno al paziente emofilico non deve spaventare, ma anzi, rassicurare: l’approccio alla patologia è multidisciplinare e parte fin dalla consulenza prenatale ai genitori offerta presso il centro emofilia, passando per le informazioni sul momento del parto e la consulenza e assistenza dopo, fino alle dimissioni del neonato dall’ospedale e nel percorso che seguirà le sue fasi di crescita. 

La diagnosi di emofilia del proprio figlio può spaventare i genitori. È comprensibile e normale, ma il team multidisciplinare che si occuperà del nostro bambino può aiutarci fin dalla nascita o addirittura dai mesi precedenti, se la diagnosi è prenatale.

I passi avanti nella gestione dell’emofilia

Ma com’è oggi la vita di un bambino emofilico? È la domanda che maggiormente interessa un genitore: come vivrà mio figlio con questa malattia? Avrà una vita lunga e il più possibile in salute?

Diverse osservazioni su famiglie con un caso di emofilia hanno mostrato come in molti casi la presenza della malattia causi uno stravolgimento nella concezione della vita quotidiana familiare: l’evento emorragico si può verificare in qualsiasi momento, portando stress e ansia. La tendenza rilevata da queste famiglie è quella di identificare una vita quotidiana prima della malattia, e una successiva alla scoperta della condizione di emofilia nel proprio figlio che segna, appunto, unostravolgimento in cui la normalità non sembra più possibile. Questo tipo di approccio, che è normale e molto frequente, è controbilanciato dal tentativo, in altri casi, di normalizzare la malattia, facendola cioè rientrare nella gestione quotidiana della propria vita. Questo processo dinormalizzazione è possibile: il primo passo è quello di stabilire insieme delle nuove abitudini nelle quali si va ad integrare la terapia. In questo modo, quest’ultima diventa progressivamente parte integrante della normale routine quotidiana.

Un processo come questo non è scontato o semplice: richiede impegno, pazienza e investimento emotivo. Tuttavia, non bisogna dimenticare che un supporto in questa direzione è dato dai grandissimi passi avanti fatti grazie alla scienza, alla ricerca e alla pratica clinica e che la qualità di vita di un piccolo paziente con emofilia è oggi decisamente migliore rispetto al passato. Emofilia è una parola che spaventa, che può gettare in un baratro di preoccupazioni, ma in realtà se correttamente diagnosticata per tempo e regolarmente monitorata nel corso della vita è spesso assolutamente gestibile. Dipende naturalmente anche dal livello di gravità della patologia, ma le opzioni terapeutiche moderne sono valide e sicure.

Sì alla vigilanza, no all’iper protezione

Le fasi della vita del bambino emofilico sono diverse e hanno ognuna una dinamica particolare: alla nascita e per gli anni dell’infanzia, per esempio, il bambino è sotto la responsabilità e ilcontrollo del genitore. L’accettazione consapevole e il più possibile serena della malattia da parte dei genitori ricadrà anche sul modo in cui il bambino stesso potrà convivere con la sua condizione. Per esempio, una vita di privazioni, di no di fronte alle normali esigenze di socializzazione e alle attività ludiche, ricreative e scolastiche che un bambino può svolgere nei primi anni di vita, giustificati dal timore che il piccolo possa farsi male, sono un ostacolo a una infanzia serena e alla socializzazione con altri bambini, fondamentale per la sua crescita. L’attività fisica, per esempio, non va vietata tout court: si può praticare con accortezze e tutte le precauzioni del caso, meglio sedopo averne parlato con il team del centro emofilia, ma apporta grandi benefici nella gestione della malattia, perché rende il bambino più forte e resistente, aiutandolo nel caso di cadute e traumi. Praticare attività fisica, poi, ha benefici in termini di salute (previene sovrappeso e obesità) e, soprattutto, ha effetti positivi sulla psiche e sulla vita sociale dell’individuo.

L’accettazione consapevole e il più possibile serena della malattia da parte dei genitori, si ripercuote in maniera positiva sul modo in cui il bambino stesso conviverà con la sua condizione

È comprensibile, quindi, la volontà di iper protezione che un genitore può avere nei confronti delproprio bambino emofilico, ma sarebbe bene trovare un equilibrio tra questa tendenza e lasciare ilproprio figlio libero di fare le sue esperienze: un buon equilibrio tra prudenza, buon senso e vogliadi sperimentare andrà a beneficio di tutti, sia del paziente e della sua crescita come individuo, siadell’intera famiglia, per una gestione e convivenza consapevole con l’emofilia.

Oltre al team di specialisti che accompagnano la famiglia lungo tutto il corso della vita, anche a scuola i bambini con emofilia sono assistiti con particolari attenzioni: hanno diritto a un insegnantededicato, in modo da vivere l’esperienza scolastica in maniera il più possibile serena, e i loro genitori possono beneficiare di permessi speciali retribuiti.

La diagnosi di emofilia del proprio figlio può spaventare i genitori. È comprensibile e normale, ma il team multidisciplinare che si occuperà del nostro bambino può aiutarci fin dalla nascita o addirittura dai mesi precedenti, se la diagnosi è prenatale.

L’accettazione consapevole e il più possibile serena della malattia da parte dei genitori, si ripercuote in maniera positiva sul modo in cui il bambino stesso conviverà con la sua condizione.

Se hai qualche caso di emofilia nella tua famiglia e vuoi saperne di più sulla diagnosi prenatale, rivolgiti al centro emofilia più vicino: ti darà informazioni sulle modalità e le procedure per effettuare i test genetici necessari.

Bibliografia

- P.C.Moorehead, A.K.C.Chan et al., “A practical guide to the management of the fetus and newborn with hemophilia”, Clinical and applied thrombosis/hemostasis, 2018, vol. 24

- M. Economou, L.Banov et al., “Perinatal aspects of haemophilia”, European Journal of haematology, 2014, 93 suppl. 76

- J.Sondermann, M.Herbsleb et al., “Health promotion for young patients with haemophilia”, Hamostaseologie 2017; 37

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